L’attenzione per una realtà simbolica prevale sul desiderio narrativo. Il tempo e lo spazio non esistono più, si sono sono fusi insieme. L’arte classica in questa occasione è finita per sempre e non si può più tornare indietro. Questo tipo di narrazione era stato utilizzato nell’arte cosiddetta “plebea”, quella cioè più lontana dal potere imperiale, mai in quella ufficiale e di rappresentanza.  Quest’ultima non aveva mai smesso di guardare al mondo ellenistico. Il fatto che questo superamento avvenga qui e ora, sta a significare che l’Arte Romana era ormai sicura di se, sicura come Roma lo era del suo dominio sul mondo.
Stiamo parlando naturalmente del Grande Fregio Traianeo, il quale è in un certo senso il sequel iconografico del racconto inciso sulla Colonna Traiana. L’imperatore aveva attaccato la Dacia (le attuali regioni della Romania e della Moldavia) e aveva vinto. Ora tornava a Roma da vincitore.

Nella Colonna si erano raccontate le due guerre daciche, con una successione cronologica degli eventi, si era evidenziata la preparazione militare dell’esercito, la comprensione per la sofferenza dei nemici vinti, il lavoro di intelligence. Nel Fregio invece la storia perde la sua concretezza, in un’unica scena accadono episodi diversissimi fra loro, episodi che però hanno come filo conduttore la grandezza universale dell’Imperatore.
Il fregio si presenta come una fascia di marmo scolpita e dipinta, lunga trenta metri e alta due. Qualcosa di veramente notevole che ci indica che molto probabilmente in origine esso doveva far parte di un contesto pubblico, forse del Foro di Traiano. Le lastre non si sono conservate tutte, ma una buona parte si. Quattro di esse, cioè diciotto metri di fregio, sono giunte fino a noi perché reimpiegate per la decorazione dell’Arco assemblato da Costantino, due secoli dopo, vicino al Colosseo. Lastre diverse o frammenti sono conservate in altri musei.


In questa scena i soldati romani sono all’attacco di un villaggio dacico, infatti, l’urbanizzazione in Dacia arriverà solo grazie alla conquista romana. La carica della cavalleria è travolgente, i prigionieri sospinti dai soldati alle loro spalle non possono fare altro che stare a guardare. Sullo sfondo ci sono le loro case.

Subito dopo vengono mostrate all’Imperatore le teste mozzate di alcuni ribelli. C’è, quindi, anche l’Imperatore che prende parte alla battaglia. Sappiamo che Traiano nella realtà storica non aveva preso parte alla guerra, causa l’età, ma qui a differenza dei rilievi della colonna siamo nella sfera dei simboli e questa rappresentazione serve a dire che egli è ad ogni modo un’eroe che combatte per l’Impero. Vari sono gli elementi che lo indicano. Traiano è rappresentato come Alessandro Magno; non ha l’elmo perché non ha paura, ma c’è un soldato che glielo porge, quindi in un certo senso l’imperatore all’occorrenza è capace di garantire la sua sicurezza, quella delle truppe e quindi anche quella dell’Impero. La dinamicità della raffigurazione restituisce l’impressione che Traiano non può essere fermato, il suo cavallo annulla e travolge un barbaro, ma l’artista ci fa capire che al tempo stesso l’imperatore è un uomo buono, c’è un dace inginocchiato che invoca clemenza. La propaganda imperiale, infatti, vuole rappresentare una Roma portatrice di civiltà e di valori, non solo di morte e distruzione.