Parlare dei santuari repubblicani del Lazio è trattare non solo di architettura e gusto artistico, ma indagare anche gli aspetti più intimi e vitali della società che li hanno realizzati. C’è stato un momento nella storia tardo repubblicana di Roma in cui avvenne un vero e proprio boom edilizio. Immense strutture cambiarono non solo l’aspetto dell’Urbe, ma persino il paesaggio del Latium Vetus. Si sventrarono montagne e dove le montagne c’erano ed erano d’intralcio esse vennero addirittura spianate. Tra il II ed il I secolo a.C. si assistette ad un’intensa attività edilizia legata alla realizzazione, o meglio, alla completa riedificazione, di più antichi santuari locali in forme solenni e magnifiche e di dimensioni mai viste prima. Si tratta di un fenomeno molto complesso, in grado di rivelare multiformi aspetti della vita culturale, politica, religiosa, economica e sociale del tempo, in un momento storico molto importante e florido per Roma: il completamento della conquista dell’Oriente ellenistico, la più ricca ed avanzata porzione del mondo allora conosciuto. Varie furono le cause che portarono a queste riedificazioni in chiave monumentale di luoghi di culto preesistenti; ma in ogni caso tali iniziative sono riconducibili all’azione di qualche importante esponente della società del tempo che aveva voglia, diciamo così, di ottima visibilità. Che siano stati importanti condottieri militari, facoltosi personaggi del mondo mercantile o potenti uomini della classe politica, i ricchissimi committenti responsabili di questi interventi edilizi volevano non solo ristrutturare luoghi di culto preesistenti mantenendo riti ed usanze locali, ma anche ricollegarsi a quell’oriente da poco sottomesso impiegando le forme dell’arte ellenistica affidando ai monumenti il compito di tramandare la memoria delle loro gesta per gli anni futuri: così facendo contribuirono fortemente ad importare nella terra natia nuovi modelli artistici e culturali di natura orientale. E l’impiego degli influssi orientali nella penisola italica trovò terreno davvero fertile; qui le tecniche edilizie inventate, come l’uso del cementizio o del laterizio si fuse con il gusto e le caratteristiche dell’arte ellenistica, rendendo possibile la realizzazione di complessi dalla monumentalità, dalle dimensioni e dall’articolazione planimetrica mai viste prima. La lista di questi santuari tardo-repubblicani del Lazio inizia con il timido “prototipo”, riscontrabile nella città di Gabii, del famoso complesso di Giunone Gabina, passando per quelli più articolati e mastodontici come il santuario della Fortuna Primigenia di Praeneste, il Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli e il cosiddetto santuario di Giove Anxur presso Terracina. Inoltre è poi possibile riscontrarne altri anche presso Nemi, Lanuvio, Fregellae e probabilmente Tusculum. In tutti questi complessi, come vedremo, troveremo degli elementi in comune che molto ci diranno sulla fase storica in cui furono realizzati, gettando una sfolgorante luce sulla cultura, le tradizioni e la situazione geopolitica della società romana che li realizzò. Continuate a seguire i prossimi post, che si susseguiranno analizzando i santuari uno per uno in base alla cronologia della loro realizzazione.

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