Nell’Antica Roma un foro era sempre esistito, era il centro della città, dove durante l’età repubblicana o anche da prima, si svolgevano la maggior parte delle attività economiche, politiche e sociali.

Nel I secolo a.C., però, quando oramai Roma era diventata una città ambiziosa, capace di dominare territori compresi da una parte all’altra del mar Mediterraneo, vari generali si posero l’obiettivo personale di trovare spazi più adatti per garantire il corretto svolgimento di queste attività.

Primo fra tutti aveva iniziato Pompeo, creando una nuova sede del Senato dentro la sua dimora privata in Campo Marzio, vicino Largo Argentina. L’atto di spostare il luogo di riunione del Senato dentro la casa di un privato cittadino era naturalmente un atto fortemente eversivo, più adatto certo alla mentalità di un sovrano dell’oriente ellenistico che a un generale romano. Potremmo affermare che non vi siano possibilità di immaginare un affronto peggiore di questo agli ordinamenti della repubblica romana, se noi non avessimo conosciuto l’opera del suo successore, di colui che nel 48 a.C. a Farsalo lo sconfisse.

Giulio Cesare (100-44 a.C.), infatti, con un intervento urbanistico decisamente rivoluzionario intraprese la costruzione di un nuovo Foro esattamente accanto a quello vecchio. La novità questa volta era data dal fatto che la piazza portava il suo nome. Sotto gli occi di tutti Cesare aveva utilizzato il centro stesso della città, un luogo che apparteneva alla tradizione Romana per mettere in auge la propria celebrazione personale. E proprio nell’esaltazione personale del suo dedicante sta tutto il significato dei fori imperiali che verranno da qui in avanti. Il foro di Cesare è importante proprio perché costituirà il prototipo, il modello, di tutti questi altri fori che verranno da qui in avanti, quindi anche di quello di Traiano. Lo schema era sempre lo stesso: un foro con una piazza porticata, un tempio dinastico che ricordava la prosapia celeste dell’imperatore e una statua equestre che affermava la sua gloria in terra.

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Dopo il Foro di Cesare fu la volta di quello di Augusto, che costruì il suo Foro introducendo la novità importante delle esedre, un elemento importantissimo alla luce del tema che stiamo indagando: Traiano infatti le citerà nel suo nuovo Foro.

Dopo l’esperienza tirannica dell’Imperatore Nerone, Vespasiano costruì una piazza dedicata non a una divinità, ma alla Pace. Foro dopo Foro, ai tempi dell’imperatore Domiziano (regno 81-96 d.C) non era rimasto più terreno disponibile, se non una strada che si trovava fra la piazza costruita da Vespasiano e il Foro di Augusto. L’architetto di Domiziano sfruttò cosi proprio quella strada per costruire una piazza, che prese appunto il nome di Foro Transitorio perché manteneva la sua antica funzione di passaggio. La striscia di terra che ne risultò, collegò per la prima volta fra loro tutte le piazze allora presenti.

Ma il delicato equilibrio politico che a Roma vedeva opporsi i sostenitori di una forma ideale di governo, in cui il potere doveva risiedere nelle mani del Senato, e il potere ormai sempre più imperante del princeps, si ruppe innescando una spirale di odio e di violenza che portò all’uccisione di Domiziano. L’elezione a Imperatore del vecchio senatore Marco Coccio Nerva (regno 96-98 d.C.), uomo le cui idee erano ancorate al passato, servì solo a suggellare che la repubblica romana era ormai solo un ricordo.

L’anziano imperatore Nerva si rese conto ben presto che per governare l’impero non bastava più, come prima, essere il favorito dell’alta aristocrazia, ma che era necessario avere dalla propria parte anche l’esercito. Per rafforzare la sua posizione, si vide costretto a far nominare come successore al trono un provinciale, Marco Uplio Traiano, considerato il miglior generale del momento. Nel 98 quando il vecchio imperatore morì, la successione avvenne senza scosse. Da questo momento l’accondiscenda del senato nei confronti dell’imperatore fu forse dovuta anche al fatto che, in qualche modo, questo organo doveva presentare Traiano come il prodotto di una sua scelta vincente, e non un’umiliazione avvenuta all’interno della propria camera.

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Traiano

Traiano (regno 98-117 d.C) fu il primo imperatore a non essere nato in Italia, ma nella Betica, in Spagna. Si trattava di una regione che allora era già fortemente urbanizzata e culturalmente avanzata (lo resterà per tutto il medioevo). Non è improbabile che fossero di questa regione alcuni dei senatori che erano andati contribuendo all’elezione di Traiano. Il fatto che elementi provinciali validi fossero allora attivi nel Senato favorì senza dubbio l’efficacia amministrativa della capitale e il rapporto positivo – e di collaborazione – che s’istaurò fra i principi e il senato. Non a caso i termini che, più di tutti, la storiografia associa alla figura di Traiano sono quelli lealtà e modestia, umanità e giustizia: era questo il modo con cui l’imperatore si presentava al Senato e ai suoi sudditi. In generale ai tempi di Traiano il sistema amministrativo del principato si perfezionò raggiungendo un alto grado di efficienza, fu un anche un periodo in cui nel Mediterraneo il diritto, l’arte e la giustizia, raggiunsero vette rimaste insuperate forse fin’anche a tempi recenti. Ai tempi vi fu un fiorire di monumenti da una parte all’altra del Mediterraneo e che sono visibili ancora oggi.

Traiano era poi un militare validissimo e seppe sempre attirare dalla sua e disciplinare l’esercito. Ora, il mantenimento dell’impero si fondava soprattutto sul buon funzionamento della macchina bellica, e in questo Traiano non deluse mai le attese dei romani. Al momento della sua elezione si trattenne per quasi due anni sulla frontiera del Reno per sistemare quel territorio. Sentiva forte l’importanza della sua missione e della sua forza, anche per questo era disinteressato a umiliare il senato di cui del resto godeva dell’appoggio. Fu il Senato a dare a Traiano l’appellativo di Optimus Princeps. E il termine Optimus nella mentalità romana si doveva probabilmente associare a tutta una serie di significati, si usava ad esempio per definire il Giove del Campidoglio, il cui tempio era da secoli sempre dei trionfi.

Traiano fu molto attento anche quando si trattò di capire quali edifici costruire e quali no, e di certo la sua monarchia giovò nel confronto con la tirannide degli anni appena trascorsi. L’architettura del periodo prese subito le distanze da quella in voga con Nerone e Domiziano, imperatori famosi per aver costruito sfarzose residenze private. Si costruirono così opere pubbliche, in particolare delle grandiose Terme e poi un Foro.

Nell’area dei Fori lo spazio a disposizione era però ultimato e dove sorgerà poi la piazza c’era allora una collina, la cui altezza è ricordata dall’iscrizione alla base della Colonna Traiana.  Questa collina fu spianata da Apollodoro, l’architetto personale di Traiano, un uomo di origine siriana. E proprio nella presenza di questo personaggio possiamo leggere uno dei tanti segni dell’apertura mentale che si registra in Italia sotto il regno di Traiano, cioè quella che a un certo punto – della storia di Roma – si trovino a collaborare un imperatore spagnolo e un architetto siriano.

Il nuovo foro si presentò come una grande piazza, con portici laterali due gigantesche esedre sui lati lunghi. In prossimità della Colonna vi era la basilica Ulpia con le due esedre che ripetevano il motivo della piazza. Alle spalle della basilica e proprio ai lati della Colonna Traiana c’erano due biblioteche, quella greca e quella latina, salendo le scale di questi due edifici si poteva leggere quello che sul suo fusto c’era raffigurato. La Colonna dunque non era visibile da lontano, e l’isolamento che percepiamo oggi è del tutto innaturale e non voluto dall’architetto.

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La posizione della Colonna è importante poiché in queste biblioteche si conservavano degli archivi, molto probabilmente era qui anche il De Bello Dacico, un commentario scritto da Traiano in relazione alle sue vittorie sulla Dacia. Un commentario era un resoconto di guerra, probabilmente accompagnato da immagini, che raccontava episodi della guerra e paesaggi lontani che il Senato o i cittadini di Roma, non avevano mai potuto vedere prima.

Come viene sempre detto quando si parla della Colonna, essa è un resoconto in immagini delle imprese di Traiano in Dacia. Però questa definizione non rende giustizia al monumento. Se guardiamo ai rilievi, le scene di battaglia sono in realtà pochissime, tutta la Colonna è fatta di di preparazione alla partenza, di sacrifici, dell’imperatore che parla con i soldati, di gesti di clemenza. C’è insomma una sequenza di scene che si ripete – nella ridondanza caratteristica di un messaggio – e che ha come fulcro l’efficenza militare dell’esercito romano, quindi le capacità di comando di Traiano.

Nella Colonna è poi esaltata un’altra virtù imperiale, la clementia, che si esprime attraverso la rappresentazione della dignità del nemico sconfitto. I Daci, infatti, non sono rappresentati semplicemente come nemici, ma come uomini che soffrono, c’è persino Decebalo: “il re dei Daci”, che pur di non cadere sotto l’assalto della cavalleria romana preferisce uccidersi. Ora potremmo limitarci a dire che in alcune manifestazioni dell’arte e delle tragedie ellenistiche, esaltare il nemico significa esaltare coloro che lo sconfiggono. Certo potremmo dirlo, se non non conoscessimo un testo di Dione di Prusa, contemporaneo di Traiano, nel quale è scritto:

“Ho appena visitato il fronte dacico dove giunsi fra uomini in piena attività, sommamente tesi alla battaglia, come cavalli da corsa pronti alla partenza che per la fretta e l’eccitazione battono con gli zoccoli il terreno. Solo fra tutti io mi aggiravo tranquillo, spettatore pacifico di quella guerra, ma desideroso di vedere quegli uomini che lottavano per l’impero e per il potere (i romani), mentre i loro avversari combattevano per la libertà e per la patria.”

Allora come non leggere nella Colonna l’esaltazione delle virtù imperiali e in particolare della Clementia di Traiano e della sua capacità di comando?

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Suicidio di Decebalo

La Colonna dunque è qualcosa in più di una semplice descrizione in immagini delle guerre Daciche, è un monumento che esalta le virtù dell’Imperatore, virtù che sono oltre l’umano e favoriscono il culto imperiale. Non è un caso che all’interno questa ospitasse la dimora ultima dell’imperatore, la sua tomba; e che in un primo momento sulla suà sommità, ancora prima della statua di San Pietro messa li nel 1588, ancora prima della statua di Traiano, era presente un’aquila: simbolo dell’apoteosi, quindi dell’ascesa in cielo dell’Imperatore.

 

In uno dei prossimi post analizzeremo la Colonna per immagini. Puoi rimanere informato sulle nostre prossime visite guidate alla Colonna Traiana tramite la pagina Facebook Visite guidate Roma Fuit

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